Lo sfruttamento dell’ancella di Miami ci conferma che i soldi fanno girare il mondo e che il mondo balla secondo la musica dei ricchi
E quando pensavamo che già fossero state saltate a più pari tutte le decenze e le reticenze, ci giunge la notizia che la celebre attrice spagnola, tornata da Miami con una fiammante neonata tra le braccia, non sarebbe la mamma della creatura, bensì la NONNA. Non pascia dello sconvolgimento suscitato, con sguardo di orchessa in fase di attacco, proferì inoltre: “lo farò ancora, fino a quando arriverà il maschio” (chiaro! come vuole la tradizione delle famiglie dabbene).
Ma come si sarebbero svolti i fatti che hanno dato luogo a questo fenomeno della genesi? Vista la crudezza delle immagini, chiedo scusa anticipatamente: sul letto di morte, il figlio dell’attrice avrebbe depositato lo sperma e fatto scrivere nel testamento la volontà che da esso si ricavasse della prole. Ecco dunque spiegate le sibilline parole della neo-nonna durante la prima esclusiva intervista sul rotocalco che sta mietendo pecunia in questi giorni disse: “Non sarò mai più sola“.
E l’inghippo è bel che confezionato: i genitori che hanno perso un figlio possono essere tentati di ammettere questa specie di clonazione. Persino chi genitore lo è tuttora può immedesimarsi e trovare il modo di accettare le spiegazioni che l’attrice ci propina.
Apro una breve parentesi: c’è qualcuno che si ricorda della figura della nutrice? In pratica, e senza suscitare tante polemiche, ai vecchi tempi c’erano donne povere che lasciavano a casa i loro neonati, o li mettevano in secondo piano, e andavano ad allattare i pargoli dei ricchi. Così mentre the Lady of the house si agghindava, loro si sfondavano il corpo ottenendo in cambio qualcosa da mettere tavola. Queste ancelle ante litteram mettevano a disposizione i biberon naturali concessi da madre natura e la società non ci vedeva nulla di male, anzi lo interpretava come un’opportunità per chi non aveva mezzi. Lo status delle nutrici si manteneva, comunque, sulla soglia della povertà e i loro figli erano destinati ad essere cittadini di serie B e ottima carne da cannone in caso di guerra. Poi hanno fondato Nestlé con i suoi latti in polvere e le cose sembravano essere cambiate. Chiusa parentesi.
Oggi come oggi il ruolo delle madri surrogate si avvicina a grandi passi a quello delle Handmaid di Margaret Atwood, la quale descrive una realtà distopica in cui la donna è identificata semplicemente come un utero a disposizione dell’élite che ha potere di vita e di morte. Nella vicenda spagnola però ci sono altri contorni inquietanti: legalmente l’attrice è madre di quella che biologicamente è sua nipote, a sua volta legalmente sorella del padre. Scusate la contorsione mentale, ma l’accostamento tra “sperma del figlio” e “maternità della madre” mi risulta raccapricciante e mi apre scenari in cui si contemplano scene degne del pornazzo più squallido, pedofilie e incubi sessuali di vario tipo. La pietà per l’uomo scomparso sta dunque lasciando il posto al grottesco.
Altrettanto pornografica è la svendita della faccenda al rotocalco di cui sopra che obbedisce pedessiquamente alle leggi del mercato e che è stata orchestrata ad arte forse ancor prima che l’ancella di Miami restasse incinta. Inevitabili allora sono le “esclusive” con le quali Ana Obregón rivela col contagocce dettagli della vicenda, forse pensando che la somministrazione in pillole renda la storia più digeribile, ma anche perché le serie a puntate fanno tanta presa sul pubblico. Altrettanto inevitabile la “straordinaria rivelazione” che l’ancella di Miami sia una povera in canna (ma va?), già alla seconda esperienza di affitto uterino (ma che mi dici mai?) che le avrebbe fruttato 35.000 verdoni (mentre la Anita nazionale ne avrebbe pagati centomila, capito come funziona?).
Ancora una volta la sensibilità umana viene letteralmente stuprata dal chiacchiericcio e dai finti sconvolgimenti con cui si tenta di rendere accettabile il comportamento dei nababbi anche se travalica qualsiasi barriera del ragionevole e anche se sottolinea a chiare lettere la linea di confine tra chi può e chi appartiene a una casta che non potrà mai, neppure per le generazioni a venire.
Grazie Ana Obregón, così abbiamo imparato che l’etica è una roba da poveri che si dovranno preparare a un “meraviglioso mondo nuovo”. (n.z.b.)
Foto di copertina di ian dooley su Unsplash
Testi: Nadia Zamboni Battiston
Sullo stesso argomento: Malintesi uterini