Embrioni internazionali alla riscossa
La recente maternità, sarebbe meglio dire “acquisto di maternità” di una monumentale e attempata attrice spagnola, ha travolto tutti i giornali e telegiornali possibili e immaginabili del ridente paese iberico. Stavo per scrivere un post intitolato “Pannolini e Pannoloni” ma a fermare la mia satirica mano fu la pietà. La neomamma in questione, sessantottenne, ha perso tragicamente il suo unico figlio già adulto tre anni fa e dichiara che con questo fagottino tra le braccia, acquistato a Miami -patria dello shopping con lo spagnolo come seconda lingua, per cui si spiegavano meglio- si sente tornare in vita. Le immagini della donna che lascia l’ospedale in sedia a rotelle, con la fascetta della maternità al polso, inizialmente hanno fatto pensare a un maldestro tentativo di camuffare la realtà cercando di far credere che la donna avesse veramente partorito. In un secondo tempo è stato chiarito che la deambulazione su ruote si deve al fatto che gli americani fanno le cose per bene, per cui se hai affittato un utero, tu sei presente in sala parto, sei riconosciuta come madre a tutti gli effetti e sei tenuta rispettare i protocolli sanitari alla lettera.
Ah, l’America che non si fa le pippe mentali e accetta di buon grado il commercio uterino purché ben regolamentato da agenzie e papponi vari. Sull’onda di questo pragmatismo, ti sbrigano le scartoffie nel men che non si dica e quando tu te ne stai già tornando in patria, loro svelti svelti han già messo un’altra pagnotta in forno. Si tratta certamente di un metodo pratico per offrire uno sbocco -mai termine fu più appropriato- a uteri afflitti dalla disoccupazione, poco abbienti o meno dotti. Perché, diciamolo, gli uteri che son passati per Harvard difficilmente sforneranno pargoli per terzi (salvo, magari, casi che ravvedono in questa pratica una specie di borsa di studio).
Non la pensano allo stesso modo in Spagna. L’utero in affitto è una pratica proibita, penalizzata in quanto, altrettanto pragmaticamente, è considerata una forma di violenza contro la donna e contro l’infanzia. Ma a dirlo sono quelli di sinistra, cioè Socialisti, Unidas Podemos, Izquierda Unida, etc., più le femministe storiche. E poi ci sono tutti gli altri.
Nel marasma delle opinioni c’è chi considera la maternità surrogata come il frutto del progresso e simbolo di una libertà che non impone limiti alla struttura familiare. Per prendere tempo e per dar contro alla sinistra, la destra spagnola si pronuncia con un “ni” che lascia aperta la porta alla maternità surrogata per “puro altruismo”, dunque senza passaggio di pecunia da una mano all’altra. In tal caso rientrerebbe la felice circostanza in cui una donna ricca e annoiata presti il proprio utero a una donna non abbiente e sterile. Per ora non sono stati registrati casi del genere, ma aspettiamo fiduciosi.
Attualmente la Spagna non dispone di una chiara regolamentazione rispetto ai minori nati da maternità surrogata all’estero e questo vuoto legale ha permesso a molte coppie di portare a casa le creature e registrarle all’anagrafe come proprie. Si tratterà di avere molta pazienza nei futuri dibattiti pre-elettorali quando i politici decideranno di utilizzare l’inghippo in questione come argomento di scontro.
Ovviamente, nel corso di queste guerre intra-uterine non udiremo mai le voci delle affittuarie e del frutto dei loro ventri. Per ragioni di privacy, ci diranno. In verità gli algoritmi hanno già compreso che la grande fame delle coppie attempate e abbienti suscita molta più solidarietà rispetto alla situazione di povertà di molte creature già nate, o delle donne che per sbarcare il lunario prendono in considerazione la locazione delle viscere. E poi, insomma, parlare di business fa sempre più trend che parlare di povertà, traumi, orfani e altre spiacevoli circostanze. (n.z.b.)
P.S.= Sì, è vero, non ho fatto nomi e non ho messo fotografie di pancioni, ma cambia qualcosa?
Foto di copertina di Belinda Fewings su Unsplash
Testi: Nadia Zamboni Battiston
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