Dopo giorni e giorni di elicottero scrutatore sulle teste, di cacerolazos alle dieci di sera, di bastimenti con il gatto Silvestro e Titti il Canarino cariche di Guardia Civil parcheggiate in porto, di interminabili tribune politiche, siamo giunti al 1º ottobre. Spazio aereo sul centro della città chiuso, ma l’elicottero scrutatore ha scrutato tutta la notte, puntando il faro accusatore sulle finestre, sulle scuole, sulle strade, sulla gente in coda perché vuole votare. Sarà l’unico a poterlo fare e a poter decidere se filmare le manganellate.
Difficile non essere retorici oggi. Giornata plumbea, silenzio pesante sulla Diagonal dove sembrano assenti persino i bus turistici che arrivano fin qui al Forum di Barcellona. Ho un problema personale con questo tipo di atmosfere. Nel 2001 ero a Buenos Aires e vivevo vicino al Congreso de la Nación, centro di disordini e sorvolato giorno e notte dall’elicottero. La Polizia di Stato schierava i propri uomini di fronte alle sedi delle banche per impedire alla gente comune, prigioniera del corralito, di spaccare vetri e invaderne gli uffici, in preda alla rabbia per la polverizzazione di anni di risparmi.
Sul fatto che il paragone possa sembrare fuori luogo, magari pensando che in Catalogna siamo di fronte a una crisi politica, mentre quella dell’Argentina era una crisi finanziaria, ci torno dopo.
Prima di tutto mi interessa chi si sta prendendo le manganellate, chi ha dormito nelle scuole per garantire il voto, chi è stato per dieci giorni in piazza reclamando un diritto, chi ieri ha visto lo sfregio di scagnozzi “difensori della Patria” tentare di strappare uno striscione che reclamava “Più democrazia” sulla facciata del Municipio. La gente comune ci ha creduto e da oggi ci crederà ancora di più. Per mortificare l’impegno di chi si è fatto il mazzo, si dice che esista una “maggioranza silenziosa” di cui non gliene è mai fregato nulla e che quella maggioranza va ascoltata. Già, ma quella “maggioranza” dov’è? Attraverso chi si esprime? Ha commesso l’errore di credere che la lotta per l’indipendenza fosse solo un fattore folcloristico? E comunque a quella fetta della popolazione viene offerta la possibilità di dire NO alla secessione grazie alla lotta di chi oggi si sta prendendo le manganellate. Concordo con Iñaki Gabilondo quando dice che quel tipo di non-schieramento ricorda quello che è avvenuto con il Brexit in Inghilterra: molti non hanno votato pensando che fosse tutta una pagliacciata o giù di lì e i risultati li sappiamo.
In questo momento TVE1, sarebbe come la Rai 1 spagnola, sta trasmettendo un documentario. Solo le televisioni private seguono in diretta i fatti. Il Ministro degli Interni, in evidente imbarazzo, dice che non ci sono stati incidenti e che sono stati i Mossos (la polizia catalana) a chiedere aiuto alla Guardia Civil -la voce gli si incrina, lo sguardo sfugge verso sinistra, indice di incertezza- e la Guardia Civil, giunta in nave da crociera una settimana fa, “ha risposto alla violenza della gente che gli impediva di sequestrare le urne”. Lo smentiscono gli spintoni e gli attacchi che compaiono sull’altra metà della schermata. La gente viene trattata come minaccia, il Ministro dice che è stato Puigdemont (leader dell’iniziativa del referendum) a spingere donne, bambini e anziani a far fronte alla Guardia Civil. Rajoy non viene nominano in alcun momento. Certo, la gente che vota è una minaccia, quelli con i manganelli sono invece chi rassicura.
È una giornata in cui piangere un morto che non è un manifestante -e si spera ardentemente di non doverne lamentare- ma la politica come nobile arte che favorisce la dialettica e il progresso. Ci rimane una politica che parla solo di “attacchi” e “vittime”, che blatera di “democrazia” nascondendo altarini monumentali i cui ceri incendiano i tribunali, una politica in cui si è costretti a scegliere tra il meno-peggio e dove il voto di scambio è di prassi. A molti catalani Puigdemont non è affatto simpatico; stufi di aspettare risposte dal governo centrale, lo stanno usando come mezzo per arrivare allo scopo. Degli studenti piacevolmente lucidi, intervistati mentre occupano l’Università di Barcellona, danno per scontato che dopo la proclamazione della Repubblica Catalana, si faranno le elezioni e che Puigdemont se ne andrà a casa. Anche la gente, non solo i politici, ha le proprie strategie. Se si ascoltano le conversazioni dei catalani in questi giorni, si capisce quanto sia importante parlare, discutere, confrontarsi e mi dispiace tanto di doverlo dire, ma questa non è certo la risposta che giunge da Madrid. Mariano Rajoy è direttamente privo di linguaggio. Sono famose le sue frasi sconclusionate quando esce dal seminato e tenta di improvvisare. Per delle ragioni complesse a una buona fetta della popolazione nazionale Rajoy risulta rassicurante, o forse, è il meno-peggio che di cui i conservatori si devono accontentare. Sta di fatto che quest’uomo si è incaponito fin dal principio negando la gravità della crisi in corso, esattamente come negò la crisi finanziaria e la corruzione spaventosa tra le file del suo partito. Gli “spagnolisti” o gli “indifferenti” dicono che il referendum sia un imbroglio per distrarre la gente dai casi di grave corruzione che i due leader sanno di avere all’interno dei loro partiti. Tirare fuori la “teoria del complotto” a volte funziona, se è per quello si è tentato di fare lo stesso con l’attentato sulle Ramblas (solo un mese fa!). Anche questa presunta scusa per negare l’evidenza della necessità di una ri-discussione della posizione della Catalogna, è tristissima e comunque conduce verso uno scenario in cui non si nega che la politica sia moribonda sotto il cancro della corruzione e dove la popolazione dovrebbe vivere tale evenienza con rassegnazione.
Concludo riprendendo il confronto Argentina-Catalogna. Si tratta di un confronto assolutamente personale, dovuto alle mie vicissitudini. In Argentina, con il corralito, nel nome dei giochi finanziari di stato veniva leso il diritto fondamentale della gente ad avere una vita dignitosa e di godere del frutto del proprio lavoro; alla rabbiosa reazione, manganellate. In Catalogna, l’infantilismo politico generalizzato sta negando la possibilità di discutere serenamente tra Governo Centrale e Catalogna, ma anche all’interno della Catalogna stessa, dove sarebbe interessante e proficuo far crescere la posizione separatista e la posizione non-separatista con argomentazioni mature e articolate. Alla decisa reazione di chi vuole votare, manganellate. È vero, ci sono delle differenze nelle motivazioni di impulso a scendere in strada, ma non c’è nessuna sfumatura differenziante nella metodologia di risposta.
Sento in lontananza sirene e voci alterate; l’elicottero persistente, il whatsapp bruciante di messaggi. Brutta aria, difficile essere lucidi di fronte al manganello. Sincera ammirazione per chi si mette in gioco. (n.z.b.)
Foto: La Vanguardia