Neonati tecnologici sull’orlo del precipizio

L’inesistente altruismo della maternità surrogata

L’infermiera Marina si esprime con la proprietà di termini di una hostess di volo che illustra le uscite di sicurezza nell’intento di convincere i passeggeri che anche nel caso in cui l’aereo precipitasse in pieno Oceano ci sarà comunque la possibilità di salvarsi. Il filmato emula i gloriosi video di presentazione di un nuovo prodotto Apple del compianto Steve Jobs che ancor oggi tutti copiano, persino Microsoft, quando la disperata necessità di vendere un prodotto spinge il produttore a premere sul tasto emotivo del consumatore.

Alla bellissima e ben pettinata Marina si avvicendano infermiere da concorso di bellezza e aria materna che spiegano come la cinquantina di neonati venga accudita minuto per minuto da pediatri, dietologi, fisioterapisti, ecc. Torna Marina e spiega come i genitori destinatari, bloccati dalle misure anti-propagazione del coronavirus, restino in contatto permanente con i piccoli attraverso il servizio di attenzione al cliente e ad opportuni tablet, per videoconferenze con l’ignaro neonato. Segue una carrellata sulla sala di attesa neonatale con musichetta da presentazione dell’iPhone e quindi compare una specie di ragioniere che legge un comunicato in inglese in cui si parla di “client” e “delivery”, rendendo palese che tutta la problematica ha più a che vedere con le scartoffie che con questioni umanitarie. Non cito il nome dell’impresa perché tanto sarà visibile nel video, ma anche perché non credo che questo problema sia specifico di una sola situazione.

L’utero in affitto, pratica vietata in Italia ma di cui i cittadini italiani si servono, come tutti i mercimoni che hanno a che fare con il corpo e i suoi organi, genera mostri. Tra i tipici argomenti addotti per difenderla c’è una presunta generazione di benessere per donne che, in assenza di altre risorse, possono mettere a disposizione i preziosi follicoli, o comunque l’involucro in cui far crescere in forma “naturale” il feto. Alla nascita, la madre biologica si trasforma in scarto e il prodotto viene consegnato all’entusiasta cliente il quale, accecato dalla gioia, non manterrà alcun vincolo con la puerpera. Questo meccanismo nel mondo è ben oliato dai milioni di dollari, Euro, ecc. che i futuri genitori son disposti a pagare pur di vedere coronato il loro sogno e in effetti tutto è andato bene, o quasi, fino a quando non ci si è messo di mezzo il coronavirus.

Mi interrogo sullo scopo dell’utero in affitto e deduco che questa pratica abbia a che fare esclusivamente con il mondo degli adulti e che non c’entri nulla con i bambini. In fondo è la risposta tecnologica all’atavica pulsione di trasmissione del proprio sangue a ogni costo. L’uomo delle caverne non possedeva le femmine a casaccio solo per pura foia ma era sinceramente preoccupato di spargere i propri frutti sulla terra in numero superiore a quello dei suoi rivali. Dopo l’invenzione del matrimonio, ci sono stati secoli di mescolanze di sangui nobili nella rivendicazione di discendenze divine (si ricordi ad esempio il Gattopardo che attribuiva l’origine della propria famiglia a Enea e Didone). Oggi invece, a colpi di laboratori, tablet, mutui e agenzie, i figli si commissionano con maggiore precisione e anonimato.

E i bambini? Parlando esclusivamente di queste cinquanta creature in Ucraina, l’articolo del Corriere della Sera spiega che non si sa neppure quale nazionalità attribuirgli. Ma questa è una faccenda che riguarda le scartoffie. Un neonato ha bisogno di odori, battiti cardiaci, voci cullanti, seno materno o biberon dato dalle mani che compiono sempre gli stessi gesti e che hanno sempre lo stesso odore. In questo momento c’è solo una tecnologica efficienza. Al posto del patrimonio sentimentale che si sviluppa fin dai primi istanti di vita c’è solo un grande vuoto che ha tutta l’aria di assumere le forme di un precipizio da cui i piccoli faranno tanta fatica a sollevarsi e che nessun giocattolo, premio o carezza futuro potrà veramente cancellare. Penso alla confusione tra la migliore delle intenzioni, diventare genitori, e la peggiore delle pratiche, procurarsi qualsiasi cosa a qualsiasi costo.

Tanto per non chiudere in retorica, sottolineo uno strafalcione della stampa. Le obiezioni alla pratica dell’utero in affitto e l’espressione dell’orrore per questo specifico caso vengono bollate quasi in esclusiva come “femministe”. Il respingere il mercimonio del corpo femminile fa certamente parte del femminismo, ma dovrebbe esserlo anche di qualsiasi persona decente. Lo scivolone secondo me è ancora una volta verso l’allusione al femminismo come nemico della felicità collettiva. Come la mettiamo allora con la dottrina cattolica che, dal versante “opposto” predica che bisogna accettare la volontà di Dio, anche nel caso in cui tale volontà decreti la sterilità o impossibilità della coppia ad avere figli? Così, tanto per dire…

Testo: Nadia Zamboni Battiston

Fonte: Corriere della Sera, 15 maggio 2020

Foto Jawad Jawahir on Unsplash

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