Implosione

No, non è un post sulla pioggia battente di oggi in Catalogna che rovina il fine settimana dei turisti. No, non è un post per difendere l’indipendenza della Catalogna a tutti i costi. No, non è un post per difendere l’unità della Spagna a tutti i costi. È un post sull’implosione generale.

Il ventitrè marzo duemiladiciotto forse resterà tra le punte dell’iceberg nella complicata faccenda catalana e spagnola. O almeno dovrebbe diventare una data-simbolo visto che ha riportato spontaneamente in piazza gente esasperata che ha finito per prendersi una nuova edizione di manganellate; ma non è mia intenzione parlare del moto spontaneo di ieri sera perché questo discorso meriterebbe una disamina a parte.

In Spagna vige una legge a dir poco severa, sbrigativamente definita dai giornalisti come “legge bavaglio” che permette di multare e incarcerare per un tweet o un post considerato denigrante od offensivo; la vastità di tali concetti concede ampie possibilità persecutorie per cui è bene, come dice un mio caro collega, contare fino a dieci prima di sfogarsi in Facebook o Twitter.

Ho esercitato questa pratica il più possibile nel corso della lunghissima vicenda catalana, uscita alla ribalta con le manganellate del primo ottobre duemiladiciassette, ma che si trascina da anni. Oggi però, anche la persona che vorrebbe con tutto il cuore essere super partes e che quindi aspetta solo di assistere ad un felice epilogo, foriero di sviluppi costruttivi, fa fatica a tacere. E non ci si confonda: non ricorro alle manganellate come “scusa” per prendere posizione.

Oggi qualcosa cambia perché, detto in parole povere, i conti non tornano. Ci sono state le elezioni in Catalogna e il popolo ha dato delle indicazioni. Si ricordi che tali elezioni avevano il cruciale obiettivo di ridare un governo all’autonomia catalana e, allo stesso tempo, di cessare l’applicazione dell’articolo 155, imposto come misura disciplinare al governo autonomo (in pratica, rimozione totale del governo autonomo con sostituzione di presidente e ministri provenienti dal governo centrale).

Evidentemente le elezioni hanno dato un risultato. Non meraviglia il divario tra un’indicazione conservatrice, sotto forma di Ciutadans, nuova destra “moderna” e liberista che scalpita per sostituire il logoro Partido Popular in tutta la Spagna, e l’appoggio sostanziale al blocco indipendentista. Perché dunque non si è ancora arrivati a costruire il governo autonomo e ad eleggere un presidente?

Sappiamo che Puigdemont era improponibile perché “ripara” in Belgio. Non fanno bella figura neppure gli altri esponenti indipendentisti che stanno “preparando la loro difesa in territorio neutrale” (leggi: Svizzera) o che abbandonano la Catalogna per poter “far sentire la loro voce sulla scena internazionale” (l’ultima, in ordine di tempo, è partita ieri). Riverisco, da parte mia, quelli che son rimasti. E qui viene il nocciolo della questione. Molti di loro si sono già fatti periodi troppo lunghi di carcere preventivo e hanno pagato sostanziose cauzioni per uscire. Nella mia povera conoscenza del diritto, supponevo che ora questa gente avesse il diritto di restare a casa propria ad aspettare il processo. Come mai allora ieri il giudice Llarena ha decretato il carcere preventivo senza cauzione per Forcadell, Romeva, Bassa, Rull e Turull? Non sarà per caso per il fatto che Turull stava per essere eletto Presidente del Governo catalano? Le cauzioni che hanno pagato -e che sono state intascate- sono scadute?

Le motivazioni della traduzione in carcere si fondano sulla possibilità di reiterazione del delitto con comportamento violento. Nessuna di queste persone ha impugnato armi, ferito od ucciso. La lotta si è svolta sul terreno ideologico e ha trovato riscontro nelle urne. Riverisco questa gente perché sapeva a cosa andava incontro; se li criticassimo adducendo ingenuità nella loro persistenza, non faremmo che avallare un comportamento persecutorio delle idee e ciò mi provoca rigetto.

Il governo centrale ha mille gatte da pelare. Oltre a rispondere ai dettami finanziari, deve ottenere l’approvazione dei budget, deve fare i conti con i pensionati sul piede di guerra, deve tamponare le malefatte di troppi rappresentanti di partito sotto processo o degni di dimissioni -l’ultimo exploit è quello di una certa signora che ha falsificato i titoli universitari per potersi candidare e che non ha consulenti furbi abbastanza da dare una spiegazione coerente. Essendo molto impegnato e non avendo contemplato neppure lontanamente la possibilità di ricorso al dialogo, pare che per la faccenda catalana il governo poggi totalmente sul tribunale. Mandare gli esponenti catalani nuovamente in carcere provoca certamente una deviazione del corso degli eventi. Spinosa questione: non sta forse il giudice sconfinando verso una funzione politica?

L’autoproclamato esilio non suscita la mia ammirazione che preferisco riservare verso chi è rimasto, ma questi ultimi sviluppi, suggeriscono abbastanza chiaramente che le strade prospettate per chi “non piace” sono due: carcere o fuga. Se mi posso permettere, l’implosione a livello catalano sta avvenendo a causa del fatto che l’indipendentismo si avvale di forze di diversa estrazione la cui conciliazione non è per nulla scontata. La capacità di dialogo ha ceduto il passo all’esasperazione che ha portato all’insistenza della celebrazione del referendum del 1º ottobre. È mancato spessore per obbligare il governo centrale a negoziare e si è puntato su immagini “forti” e rivendicative che, d’altro canto, sono diventate la zappa sui piedi del governo spagnolo come lo sarà  l’immagine di Turull che si congeda dalla riunione parlamentare di ieri sapendo di tornare in carcere. Insomma in questo nuovo venerdì nero della Catalogna è tornata allo scoperto un’emotività che non farà che rinforzare i sentimenti indipendentisti.

Da parte del governo centrale l’autodifesa ricorre apertamente al populismo che convince meno; in questo caso l’implosione sta avvenendo attraverso le mele marce interne e le promesse non mantenute. Gli elettori del Partido Popular stanno dubitando e migrando verso la “novità” Ciutadans. Le scene nei tribunali, durante le istruttorie nei confronti di membri o ex-membri del Partido Popular, presentano un campionario di personaggi senza scrupoli e strafottenti che hanno abbondantemente pescato dalla pubbliche casse. Interrogato in merito, il Primo Ministro non rilascia dichiarazioni di sorta tranne l’apparentemente innocente affermazione che saranno i giudici (ancora una volta) a stabilire la verità dei fatti. I rappresentanti del Partido Popular, quando gli schizzi delle deposizioni in tribunale arrivano a toccarli, ripetono obbedienti in coro che le accuse di questi personaggi nei loro confronti altro non sono che una strategia di difesa.

Vien da chiedersi se tutti i sopracitati personaggi rispondono al profilo di quello che definiremmo “uomo politico”. È sufficiente la “buona volontà” di alcuni cittadini che formano movimenti spontanei a coprire il fabbisogno di intelligenza, diplomazia e strategia richiesta a un politico? Bella immagine e perbenismo, il ricorso alla denigrazione dell’avversario, toni altisonanti e promesse pecuniarie possono essere definite come qualità politiche? È ammissibile che chi riveste cariche pubbliche debba difendersi quasi quotidianamente da accuse di coinvolgimento in scandali e delitti? È accettabile la fuga all’estero per il proseguimento di un’attività politica?

La grande implosione dell’interesse cittadino sta avvenendo grazie al comportamento totalmente rivolto all’aspetto mediatico della politica, con strategie SEO che raccolgono follower, sinonimo di simpatizzanti che ti dedicano un minuto e passano immediatamente al video del gattino ma non sinonimo di sostenitore convinto, a tutto tondo. Gli slogan, i mantra, le lezioni apprese a memoria e ripetute fino allo sfinimento son fatti per vendere prodotti, non per divulgare idee e per il dibattito: quando la situazione si fa critica e c’è bisogno di tirar fuori lo spessore politico, il disco dello slogan trito e ritrito può solo provocare i disastri a cui stiamo assistendo a livello mondiale. (n.z.b.)

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Turull arrestato

Photo by Craig Whitehead on Unsplash

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